Il teatro del futuro
di Georg Fuchs
a cura di Eloisa Perone, Imola (Bo), Cue Press, 2019, pp. 61
Non è un capriccio editoriale la pubblicazione de Il teatro del futuro di Georg Fuchs. Nelle pagine di questo scritto teorico si ritrovano tanti rivolti artistici seguiti dalle avanguardie storiche del Novecento in merito alla definizione e funzione aggregativa del luogo teatrale, dell’arte dell’attore, della funzione del regista.
Prima critico d’arte, poi direttore teatrale e drammaturgo, Fuchs scrive due saggi complementari, Il teatro del futuro nel 1904 e La rivoluzione del teatro nel 1909. Le date non sono casuali: tra i due interventi si pone il Künstlertheater di Monaco inaugurato nel 1907 con la memorabile rappresentazione del Faust di Goethe per la regia di Fritz Erler e progettato da Max Littmann seguendo i principi architettonici ed estetici avanzati dallo stesso Fuchs nel primo dei due saggi. Eliminata la tradizionale suddivisione in palchetti, il nuovo edificio presenta una forma ad anfiteatro che salda il rapporto tra scena e platea. Cancellate le quinte, i soffitti e le macchine teatrali, la scena risulta tripartita in un proscenio aggettante – esteso in larghezza e poco profondo per meglio valorizzare la plasticità del movimento dell’attore – una scena centrale e una di fondo chiusa da una superficie dipinta.
La sala teatrale secondo Fuchs assurge a luogo magico di educazione e di incontro per una collettività che non assiste ad uno spettacolo bensì partecipa ad una sorta di catarsi festiva, rituale e purificatrice, di ebrezza e di esaltazione vitale, come succedeva al tempo delle rappresentazioni dei Misteri e della Passione.
Così ne Il teatro del futuro dominano riflessioni e progetti sulla funzione culturale e sociale attribuita al teatro, prendendo a modello Goethe quale esempio sublime di declinazione del teatro classico antico nella tradizione e nello spirito tedesco. Di riflesso Fuchs teorizza una cultura capace di abbattere le frontiere, tanto interne ad una Germania da poco riunificata quanto esterne, che nel rapporto tra pubblico e scena diventa teatro del popolo privo di simbolica e reale separazione individuale e di classe.
La rivoluzione nel teatro non modifica sostanzialmente il contenuto del saggio precedente, lo completa e lo aggiorna con qualche intervento di tipo formale. Significativamente la prima pagina è introdotta dalla celebre e seminale frase-slogan “Reteatraliser le Theatre!”, in cui si sintetizza il progetto di riforma in senso antinaturalistico e anti illusionistico. Fuchs, riferendosi al Künstlertheater, si concentra soprattutto sulle valenze e potenzialità innovative di questo tipo di luogo teatrale in rapporto all’esercizio delle arti sceniche. Il nuovo-antico codice espressivo si contrappone al teatro borghese e alla recitazione naturalistica, chiamando in causa anche la scrittura drammaturgica. Per quanto riguarda l’attore si legge che «i mezzi espressivi della danza sono anche i mezzi naturali dell’attore, e si distinguono da quelli della danza solo per un’estensione della possibilità espressiva. Più l’attore sarà vicino al gioco legato al ritmo della danza, tanto più completa sarà la creazione dell’attore, sebbene egli non debba mai trasformarsi del tutto in danzatore. L’autore drammatico ha il dovere di fornirgli una buona base per questo» (p. 35).
Nell’edizione di questo prezioso volume di Cue Press curato da Eloisa Perone, traduttrice e autrice di un’illuminante introduzione (Futuro, antichità e rivoluzione) i due saggi di Fuchs sono accorpati in un unico testo e differenziati graficamente dall’uso di distinti colori. Emerge con chiarezza la linearità del pensiero dell’intellettuale e la sua capacità di rinnovarsi e completarsi per effetto della materializzazione delle due idee nel teatro di Littmann, disegnando in questo modo un connubio artistico e culturale assai raro nella storia dello spettacolo.
di Massimo Bertoldi
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